Ottica oftalmica e fisiopatologia della refrazione
Alfredo Parrozzani
www.oculistanet.it

 

1 - STORIA

1.1 - Gli occhiali

A parte i primi ritrovamenti di oggetti di vetro o di cristallo grossolani, che in qualche modo potevano essere usati come lente, negli scavi di Ninive e di Pompei,  fino alla fine del XIII secolo non è possibile parlare di uso di occhiali nella correzione dei difetti refrattivi.

I primi studi di ottica furono fatti da Euclide circa 300 anni a. C..

I Greci e i Romani ignoravano l’uso di vetri convessi per ridurre i problemi refrattivi.

Nel 1305 Bernard de Gordon nel suo Lilium Medicinae affermava che “pezzi di cristallo” (in berillo) potessero permettere ad un vecchio di leggere caratteri piccoli.

I vetri destinati a migliorare la vista venivano originariamente montati a forma di binocolo, gli occhiali veri e propri com­parvero solo all'inizio del XVII secolo nei quadri dell'epoca. L’identità dell’inventore degli occhiali non è chiara esistono solo supposizioni.

Nel 1684, Leopol­do Minghore, nel­la sua Firenze illu­strata, riporta di aver notato su di una lastra della chiesa di Santa Maria Maggiore la seguente frase: “Qui giace Salvino d'Armati, di Firen­e, inventore degli occhiali… Anno Domini 1317”.

Un'altra ipotesi attribuisce a Ruggero Bacone il merito della scoper­ta degli occhiali; l'epoca in cui gli occhiali fanno la loro comparsa coincide proprio con la sua vecchiaia (1294).

Secondo altri l’invenzione degli occhiali avvenne a Venezia. Però attualmente si tende a credere che l’industria vetraria di Venezia servì solo alla diffusione di questo presidio ottico.

1.2 - Origine dell’ottica fisiopatologica

L’origine della moderna scienza dell’ottica fisiopatologica è attribuito a due italiani: Francesco Maurolico (messinese, 1494-1575) e Giovanni Battista della Porta (napoletano 1536-1615). Questi due scienziati permisero di iniziare l’impostazione dell’ottica, che fu completata da Giovanni Keplero (1571- 1630). Il personaggio più significativo nella storia dell’ottica fu Galileo che con i suoi studi e con i suoi strumenti ottici determinò una trasformazione rivoluzionaria rispetto all’ottica classica del secolo precedente.

Nel 1635 Cartesio pubblicò le leggi esatte della rifrazione.

 

1.3 - Misura della velocità della luce

Ga­lileo, che per primo cercò di misurarne sperimentalmente la velo­cità con un esperimento molto semplice: utilizzando due lanterne coperte tenute da due osservatori e misurando il tempo trascorso tra lo scoprimento della prima lanterna e quello della seconda in risposta alla prima, sottraendo il  tempo di reazione degli osservatori misurato eseguendo l’esperimento a pochi passi di distanza.  Con questo esperimento non trovò alcuna differenza di tempo a distanze molto diverse, e da ciò egli dedusse che molto probabilmente la luce si propaga a una velocità infini­ta, o talmente grande che il tempo impiegato a percorrere la distanza di alcune centinaia di metri è troppo picco­lo per essere misurato.

Un successivo esperimento per la determinazione della velocità della luce, che utilizzò un metodo astronomico fu quello di Ròmer. Egli era convinto che la luce doveva impiegare un certo tem­po nello spazio, notò il ritardo con cui la luna di Giove appariva quando la Terra veniva a trovarsi più lontana da Giove e capì che doveva dipendere dal tempo impiegato dalla luce per percorrere la maggiore distanza fra i due pianeti. Con queste osservazioni dedusse che la ve­locità della luce è finita.

Il primo vero calcolo della velocità della luce con un esperimento fu effettuato nel 1849 dal francese Fizeau. Egli con un sottile fascio luminoso  proveniente da una sorgen­te luminosa, dopo un percorso di 10 km con specchi semi o totalmente riflettenti e dopo aver attraversato una ruota dentata, che gira a grande velocità in modo tale che la lu­ce percorra 2 volte la distanza, così  a un spazio si sostituisce il dente successivo e il raggio riflesso non giunge più all'osservatore. In tal modo, nota la velocità angolare della ruota e il numero dei denti, misurando la distanza , Fizeau.  ricavò la velocità della luce:  313.300 km/s.

Foucault alcuni anni più tardi migliorò l'esperimento di Fizeau, sostituendo la ruota dentata con uno specchio rotante in modo da effettuare tutte le misure in laboratorio, e trovo la velocità della luce nel­l'aria (298000 km/s) e nell'acqua (circa 3/4 di quella con cui si propaga nell'aria).

Michel­son nel 1923, perfezionò ulteriormente l’esperimento e trovò una velocità della luce pari a 299792,5 km/s, questo è un valore molto vicino a quello at­tualmente accettato.

1.4 - Natura della luce

Newton  propose la prima vera teoria riguardante la natura della luce: la teoria  corpuscolare. Secondo questa teoria la luce è costituita da particelle che partono dalla sorgente luminosa e l'intensità di illuminazione prodotta da una sorgente su uno schermo è proporzionale al numero di cor­puscoli che in ogni secondo colpiscono la superficie unitaria

La teoria corpuscolare potrebbe essere anche conciliata con la propagazione rettilinea della luce. Tenendo conto che i corpuscoli di luce viaggiano ad una velocità elevatissima e che la deviazione gravitazionale dal per­corso rettilineo dì un grave è tanto più piccola quanto più grande è la velocità, è possibile affermare, con ottima approssimazione, che la propagazione rettilinea della luce è compatibile con la teoria corpuscolare.

La teoria corpuscolare della luce riesce anche  a interpretare la legge di Lambert secondo cui l'intensità di illuminazione pro­dotta da una sorgente varia con il quadrato della distanza r.

Anche le leggi della riflessione sono verificate con la teoria corpuscolare, infatti sappiamo anche che nell'urto elastico contro pareti le sfere si comportano come le  leggi della riflessione.

Nel 1670 lo scienziato olandese Christian Huygens ipotizzo che la luce fosse costituita da onde elastiche lon­gitudinali, con trasferimento quindi di energia e non di materia.

Anche Newton all'inizio delle sue ricerche di Ottica pensò a una interpretazione ondulatoria della luce, ma successivamente divenne un deciso oppositore di questa teoria. Se la luce fosse un'onda, dovrebbe "piegarsi nell'ombra", come avviene per le onde del mare che si propagano dietro gli ostacoli, ciò non succede alla luce.

Huygens rispose che nel caso di onde corte, come quelle che si producono in un fiume,  battendo contro il fianco di una grande barca producono un'ombra ben marcata, cioè dietro la barca non esistono onde come avviene per le ombre luminose.

Inoltre secondo Newton ogni tipo di onda ha bisogno di un mezzo per potersi propagare, mentre la luce viaggia nel vuoto.

Per rispondere a questa critica Huygens dovette riutilizzare il misterioso etere, sostanza priva di attributi materiali ideata per altri motivi da Aristotele. L’etere era un fluido imponderabile, presente in ogni punto dello spa­zio e quindi anche nel vuoto, rappresentava il mezzo elasti­co indispensabile alla propagazione della luce.

Le due teorie restarono in competizione per oltre un secolo, l'interpretazione della rifrazione (in particolare il fatto che nell'acqua la luce avrebbe dovuto propagarsi, secondo il modello corpuscolare, con velocità maggiore che nell'aria) fece prevalere il modello ondulatorio e determinò il tramonto di quello corpuscolare..

Per mettere in evidenza un fenomeno interferen­ziale si fanno sovrapporre, in una limitata regione dello spazio, due radiazioni luminose provenienti da una medesima sorgente e che hanno percorso cammini diversi.

In tal modo, quando le due radiazioni si sovrappongono, pre­sentano una differenza di fase dipendente dalla differenza dei tempi impiegati per percorrere le rispettive distanze dalle sorgen­ti al punto di interferenza, cioè praticamente proporzionale alla differenza dei cammini percorsi dalle onde.

L'esperienza ha anche confermato che, come sosteneva Huy­gens, si producono fenomeni di diffrazione con la luce quando questa attraversa fori o incontra ostacoli di dimensioni molto pic­cole . Questo fatto conferma che la luce è un'onda con lunghezza d'onda molto piccola.

Nel 1812 l'esperimento di interferenza e di diffrazione realizzato da Young confermarono la teoria ondulatoria della luce .

Tuttavia rimaneva  il problema del mezzo necessario per la propagazione delle onde luminose. L'etere infatti si rivelò subito una sostanza così complessa da sembrare assolutamente non adatta a spiegare la propagazione della luce.

Nel 1870 con l’inizio dell’elettricità e del magnetismo nacque l’ipotesi che tra la luce e i fenomeni elettromagnetici potesse esserci qualche legame e somiglianza. Il fisico scozzese J. C. Maxwell sostenne che la luce è un'onda di natura elettromagnetica perché viaggia con la stessa velocità delle onde elettromagnetiche ed è un'onda trasversale e non longitudinale, come le onde elettromagnetiche. Queste onde potevano fare a meno di qualsiasi mezzo, in quanto un'onda elettroma­gnetica non rappresentava la propagazione di una vibrazione elasti­ca, bensì un processo, provocato da un campo elet­trico e da un campo magnetico, che poteva avvenire sia nel vuoto sia in un mezzo materiale. 

Albert Einstein, all'inizio del Novecento,  per poter interpreta­re l’effetto fo­toelettrico,  ripropose nuovamente l'aspetto corpuscolare delle radiazioni, portando Avanti la proposta che le  radiazio­ni elettromagnetiche dovevano essere caratterizzate da un duplice aspetto: alcune volte si comportavano come un corpuscolo, chiamato quanto o fotone, altre volte invece come onda.

Dai risultati sperimentali si evidenzia chiaramente che per interpretare alcuni fenomeni, come l'effetto fotoelet­trico, la luce ha caratteristiche corpuscolari, mentre per spiegarene altri,  come l'interferenza e la diffrazione, la stessa radiazione si comporta in modo ondulatorio. Non è mai è necessario fare intervenire simultaneamente l'aspetto corpuscolare e quello ondulatorio. Inoltre non solo la luce, ma tutto ciò che esiste può presen­tare alcune caratteristiche di dualismo onda-corpuscolo. Anche un elettrone, in particolari condizioni, può presentare proprietà ondulatorie.

Anche il concetto di etere è stato totalmente eliminato da Einstein con la teoria della relatività. Una conferma che la luce è contempo­raneamente energia e materia, onda e particella, è rappresentata dall’equazione di Eìnstein   E = mc2 , dove E è l'energia, m la massa, c è la velocità della luce. L'energia sotto qualsiasi aspetto si presenti è sempre una forma di materia ed è possibile una reciproca trasformazione: energia à materia  e  materia à energia.

 

CONTINUA

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