Gli oftalmofrattali
Alfredo Parrozzani
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PARTE SECONDA

(continuazione)

9 - IL CORPO CILIARE
Il corpo ciliare è diviso in due parti: la Parte Plicata e la Parte Piana. La prima è caratterizzata da 70-80 pliche o processi radiali, che a loro volta sono formati da numerose altre pieghe più piccole con direzione diversa. La parte piana è una regione appiattita che si estende posteriormente, dalla parte plicata all'ora serrata della retina.
La presenza di pieghe nella parte plicata , simili a scale diverse, fa pensare ad una autosomiglianza. Pieghe radiali composte da altre pieghe disposte in direzioni diverse vengono a formare una struttura frattale.
La superficie risultante del corpo ciliare, formata da pieghe su pieghe, è molto estesa. Questa struttura molto irregolare consente di mantenere elevato il rapporto superficie/volume, necessario per gli scambi di gas, di liquidi e di elettroliti.
Il profilo della parte plicata del corpo ciliare è molto simile ad una di quelle "curve mostro" frattali originate da modificazioni iterative su una figura geometrica di partenza, come la curva di Koch (realizzata partendo da un triangolo equilatero, modificando i lati con un altro triangolo fino ad ottenere una forma stellata o a fiocco di neve).
Partendo da un esagono o da un dodecagono, eseguendo le stesse modificazioni iterative dei lati come nella curva di Koch (si modificano i lati con una forma a triangolo il cui lato è 1/3 del lato di partenza, e si ripete l'azione nei lati delle figure risultanti), si ottiene un profilo irregolare con perimetro simile a quello della parte plicata.
Il frattale che incontriamo in natura nel corpo ciliare non possiede la regolarità di una curva di Koché ma è autosimile in modo statistico. Le "penisole" e le "baie" di una curva di Koch assomigliano straordinariamente al profilo della parte plicata, e anche se le protuberanze e le anse di questa non ricorrono con la stessa successione a tutte le scale, l'aspetto generale finisce per avere lo stesso aspetto plicato a vari ingrandimenti.
Un'altra significativa differenza tra la curva di Koch e un profilo del corpo ciliare sta nel fatto che la curva è una forma matematica idealizzata che possiede una struttura a infiniti livelli, mentre il secondo non è una linea infinitamente complessa. Tuttavia con un frattale si ha un modello migliore, anche se non necessariamente perfetto, di una forma classica più regolare e di complessità finita.
Con un frattale, oltre all'utilizzazione del modello anatomico a più livelli, è possibile dare delle interpretazioni fisiologiche e logiche al rapporto forma-funzione, senza accettare passivamente i rilievi morfologici.
Perché questa complessità frattale del corpo ciliare? Probabilmente è necessaria una struttura così complessa con elevata superficie di contatto con i liquidi intraoculari per permettere una sufficiente e continua produzione di acqueo, con scambio chimico-fisico di acqua ed elettroliti.
Inoltre la stessa struttura poliplicata è necessaria per una distribuzione delle forze di trazione continua delle fibre zonulari nei movimenti accomodativi e di sospensione meccanica del cristallino.

10 - L'IDRODINAMICA OCULARE
La pressione oculare normalmente si aggira sui 12-18 mmHg, tale pressione può essere considerata la risultante di due meccanismi principali: la produzione e il deflusso dell'umor acqueo. Un costante equilibrio tra queste due azioni consente alla pressione oculare di conservare un suo valore caratteristico, considerato normale, nelle 24 ore. Questo valore è individuale, tuttavia non deve superare una certa soglia, oltre la quale vengono a determinarsi danni anatomo-funzionali irreversibili.
Molte condizioni oculari possono alterare il suddetto equilibrio, modificando i valori pressori. In questa sede non è opportuno prolungarsi su quali sono le situazioni patologiche e quali i danni risultanti. Le variazioni della pressione oculare sono legate anche a fattori di natura sistemica, che possono provocare fluttuazioni dei valori pressori. Le oscillazioni normali non superano i 2-3 mmHg, espressione di un controllo omeostatico da parte dei parametri che regolano l'idrodinamica oculare.
Le fluttuazioni del tono oculare possono essere interpretate in termini di omeostasi: i sistemi biologici normalmente si comportano in modo da ridurre la variabilità e mantenere costanti le funzioni interne.
Qualsiasi variabile fisiologica, incluso il tono oculare, dovrebbe ritornare al suo stato stazionario dopo essere stata perturbata. Il principio dell'omeostasi suggerisce che le variazioni pressorie oculari sono semplicemente risposte transitorie a un ambiente oscillante.
Si potrebbe immaginare che, in condizioni patologiche, l'organismo perda la capacità di mantenere un valore pressorio abbastanza costante e che quindi aumentino la variabilità e le oscillazioni. Ma le cose si presentano in modo diverso a chi misuri scrupolosamente i valori pressori in tutto l'arco della giornata, e a varie scale temporali.
La successione temporale ottenuta sembra irregolare e completamente casuale, a prima vista; i valori pressori sembrano non avere alcuna logica di distribuzione, a parte un lieve ritmo giornaliero.
Esaminando però il grafico a differenti scale temporali, è possibile rilevare alcune caratteristiche. Se si osserva la serie temporale relativa all'arco di poche ore, si riscontrano fluttuazioni , le cui caratteristiche e la cui sequenza sembrano simili a quelle trovate in serie temporali più lunghe. A scale temporali minori (minuti), è possibile osservare fluttuazioni minori che sembrano sempre molto simili all'andamento iniziale.
Le fluttuazioni tonometriche in scale temporali differenti appaiono autosimili, come le ramificazioni di un frattale geometrico. Questo risultato ci permette di pensare che i meccanismi di controllo del tono oculare possano essere di tipo caotico.
In altri termini i meccanismi che influiscono sull'idrodinamica oculare sono tanti, molteplici ed imprevedibili. Poiché in questi fenomeni non esiste una chiara relazione tra causa ed effetto, si dice che contengono elementi aleatori.
Una volta si riteneva che bastasse raccogliere ed elaborare una quantità sufficiente di informazioni per poter studiare e controllare completamente l'idrodinamica oculare. In sistemi come questo l'aleatorietà non scompare, anche se si raccolgono ulteriori informazioni.
A questo genere di aleatorietà si è dato il nome di caos. Un paradosso apparente è che il caos è deterministico, cioè è generato da regole fisse che, di per s‚ non contengono alcun elemento casuale.
Il futuro immediato della regolazione dell'idrodinamica oculare è determinato completamente dalle azioni eseguite nel presente, tuttavia piccole indeterminazioni vengono amplificate nel futuro lontano; quindi il comportamento, benché prevedibile a breve scadenza, a lungo termine risulta totalmente imprevedibile.
Sappiamo che un farmaco ipotonizzante è efficace perché otteniamo un immediato controllo tonometrico, tuttavia a distanza tale risultato può non essere sufficiente perché intervengono altri fattori, seppur minimi, a modificare decisamente l'equilibrio.
Perché un individuo con tono superiore alla media considerata normale non sviluppa danni campimetrici, mentre altri con uguale tono in poco tempo mostrano una sofferenza glaucomatosa ed alterazioni campimetriche ? Perché altri con tono considerato normale hanno un deficit campimetrico glaucomatoso, che noi abbiamo etichettato arbitrariamente "glaucoma a bassa tensione", e rispondono poco alla terapia ipotonizzante? perché spesso il danno obiettivo del nervo ottico non evolve parallelamente al deficit glaucomatoso del campo visivo? Tutte queste domande, e tantissime altre, rischiano di restare senza risposta se non consideriamo la natura intrinsecamente caotica dell'idrodinamica oculare. In essa intervengono numerosi fattori locali, sistemici ed esterni, che seppure riuscissimo a conoscerli tutti, misurarli ed elaborarli, non riusciremo mai a giungere ad una prevedibilità rigorosa, perché persisterà sempre una certa aleatorietà essenziale per la natura caotica del sistema.
Per analizzare questo tipo di sistema dinamico complesso non lineare si può ricorrere alla rappresentazione nello spazio delle fasi o spazio degli stati. Questa tecnica segue i valori delle variabili indipendenti che cambiano nel tempo.
Le numerose variabili indipendenti presenti in molti sistemi complessi sono spesso non identificabili e misurabili. Tali sistemi possono essere rappresentati nello spazio delle fasi con il metodo delle "delay maps". L'ascissa di ogni punto corrisponde al valore di una variabile in un certo istante, mentre l'ordinata rappresenta il valore della stessa variabile dopo un ritardo costante. L'insieme di questi punti in tempi successivi forma una curva o traiettoria che descrive l'evoluzione del sistema.
Per identificare il tipo di sistema dinamico si cerca un attrattore della curva, cioè la regione di spazio delle fasi che attrae le traiettorie.
L'attrattore può essere di tre tipi:

1) Un punto fisso, o un'area molto limitata da essere sovrapponibile a un punto. Esso descrive un sistema che evolve verso un singolo stato, per esempio un pendolo smorzato. Nello spazio delle fasi tutte le traiettorie convergono verso quel punto attrattore.
2) Il ciclo limite, è un sistema che evolve verso uno stato periodico, come un pendolo ideale senza attriti.
3) Attrattori strani, sono altri attrattori che descrivono sistemi che non presentano caratteristiche periodiche e non evolvono verso un punto fisso. Due traiettorie che presentano condizioni iniziali praticamente identiche si allontanano rapidamente e diventano molto differenti, su distanze temporali maggiori. Un sistema di questo tipo con attrattori strani è caotico.
Ho analizzato la rappresentazione dello spazio delle fasi per il tono oculare in rapporto al tempo, nell'occhio normale e in situazioni di patologia dell'idrodinamica oculare.
I risultati mostrano un comportamento simile ad un attrattore strano nell'occhio normale, espressione di un comportamento caotico del tono, seppur entro certi limiti di valore tonometrico.
Perché questo comportamento? La idrodinamica caotica consente di avere una risposta idonea alle influenze dall'ambiente e ai fattori endogeni.
In situazioni di patologia dell'idrodinamica l'attrattore presenta un aspetto talvolta più periodico, tipo ciclo limite, seppur talvolta con note di comportamento caotico,come nel glaucoma cronico.
Altre volte l'attrattore può essere di tipo a punto fisso, come nel caso di glaucoma a chiusura d'angolo .
In entrambi i casi viene a mancare la caratteristica caotica "fisiologica" di un sistema adattabile e flessibile, compare l'aspetto periodico e rigido di un sistema "patologico".
Questa caratteristica caotica di un sistema fisiologico dipende dalle numerose variabili e fattori interni ed esterni che entrano in gioco. In condizioni patologiche il sistema può risentire di pochi fattori, cioè quelli che prendono il sopravvento nell'equilibrio caotico determinando la situazione patologica, per cui l'attrattore prende l'aspetto periodico.
In situazioni drammatiche in cui l'equilibrio dell'idrodinamica è notevolmente compromesso, come in caso di chiusura d'angolo, l'attrattore assume un aspetto quasi di punto fisso; questo dipende dal prevalere di un solo fattore che condiziona totalmente tutto il sistema, allontanandolo dalla dinamica caotica.
Questo nuovo modello dell'idrodinamica oculare da una parte comporta l'esistenza di nuove limitazioni alla capacità di compiere previsioni sul decorso e sulla prognosi del sistema idrodinamico oculare fisiologico o patologico; dall'altra , il determinismo inerente al caos implica che molti fenomeni aleatori sono più prevedibili di quanto si pensasse. Informazioni apparentemente aleatorie possono essere spiegate in termini di leggi semplici.
Con una interpretazione frattale dell'idrodinamica oculare, soggetta alla legge del caos, l'impostazione terapeutica di un'alterazione della stessa dovrebbe essere modificata.
L'uso dei farmaci nel controllo dell'idrodinamica oculare spesso può essere considerato un fallimento. Se non si raggiunge un compenso sufficiente le conseguenze più drammatiche non possono essere evitate a lungo termine.
A mio giudizio i metodi tradizionali per trattare questo sistema idrodinamico estremamente instabile e complesso sono troppo lineari e riduzionistici.
Il paradigma "ipertono --> patologia glaucomatosa --> danno funzionale" è praticamente intoccabile, anche se spesso avviene che il danno funzionale progredisce anche ad avvenuto compenso quantitativo del tono; allora si "inventa" il glaucoma a bassa tensione o altre sindromi "anomale", non essendo più in grado di spiegare il fallimento di una terapia così lineare.
Non dobbiamo più raggiungere un semplice compenso tonometrico, rapportato e collegato all'evoluzione del campo visivo e dell'escavazione del disco ottico, ma sarà necessario riportare il sistema idrodinamico alterato, rigido, ad una dinamica caotica più adattabile e flessibile, che consente all'occhio di rispondere alle variazioni interne ed esterne, in tal modo le strutture più sensibili saranno al riparo dai danni.
Il farmaco, o il trattamento chirurgico o parachirugico, ideale non deve ridurre il tono oculare linearmente, anche se drasticamente, ma deve ripristinare e rispettare l'andamento caotico del sistema , anche se i valori tonometrici risultanti non sono sempre inferiori al valore soglia considerato normale.



11 - IL CRISTALLINO
La sostanza propria del cristallino è formata da fibre notevolmente allungate, dirette in senso meridiano. I margini di queste fibre si presentano sempre più irregolari man mano che ci si avvicina al centro del cristallino. Si possono notare, al microscopio elettronico a scansione, creste, nicchie e dentellature.
Queste irregolarità sono di forma varia, con ulteriori irregolarità a scala minore. La disposizione di queste non presenta una regolarità, ma una disposizione casuale. In tal modo si viene a creare una struttura frattale con autosomiglianza statistica a più scale.
Questa irregolarità frattale delle fibre è necessaria per creare una intima e solida unione tra le stesse.
Le proteine contenute nel cristallino normale si presentano come molecole sferiche isolate. In condizioni patologiche, determinate da vari fattori, queste molecole sferiche mostrano fenomeni di aggregazione con comparsa di aggregati giganteschi, la cui configurazione ha un aspetto di aggregazione per diffusione.
Immaginiamo di far crescere un aggregato di particelle aggiungendone una alla volta, in modo che appena viene a contatto con l'oggetto in accrescimento vi aderisca. Questo processo viene detto aggregazione. Quando l'aggregato è piccolo più particelle aderiscono per puro caso in una certa regione, formando piccole protuberanze.
Le nuove particelle aderiranno più facilmente sulle protuberanze, determinando un accrescimento delle stesse. Alla fine della crescita la suddivisione delle protuberanze dà origine a un frattale.
E' possibile far crescere aggregati simili anche su un personal computer, creando modelli frattali realizzati per aggregazione per diffusione simulata.
L'aggregazione per diffusione è una buona idealizzazione di ciò che accade alle proteine sferiche del cristallino. Queste proteine denaturate, da agenti endogeni o esogeni, aggregandosi realizzano grosse formazioni di aspetto frattale, che possono a loro volta riunirsi per formare ammassi più grossolani di varia dimensione.
Questi aggregati determinano una opacizzazione del cristallino per perdita delle sue proprietà di trasparenza.
Le opacità risultanti, anche se con forma e topografia variabile in base agli agenti eziopatogenetici, presentano una distribuzione irregolare legata al caso con una omotetia interna. Questa autosomiglianza fa sì che il caso abbia la stessa importanza a più scale nella distribuzione delle opacità.

12 - LA CIRCOLAZIONE RETINICA
L'arteria centrale della retina, vera arteria e non arteriola, entra nel bulbo penetrando nel nervo ottico e fuoriuscendo da questo si suddivide nei suoi rami secondari e terziari dell'arteria centrale della retina, irrorando i quattro quadranti della retina. Le successive e numerose ramificazioni arteriolari, fino al circolo capillare, sono autosimili. Si viene a creare una vera e propria ramificazione arboriforme che ad ogni ingrandimento successivo ricorda la precedente scala di grandezza.
I vasi retinici si suddividono e ramificano fino a diventare così stretti che i globuli rossi, per passare, sono costretti a disporsi in fila. Queste ramificazioni diventano così numerose da raggiungere ed irrorare tutta la retina. Per necessità fisiologica i vasi sanguigni devono eseguire un pò di magia dimensionale per comprimere una superficie immensa, di scambio tra sangue e tessuti, in un volume limitato. Queste molteplici ed autosimili diramazioni sono FRATTALI.
La struttura di questa circolazione ha consentito alla natura di risolvere il problema in modo così efficiente da permettere un perfetto e completo scambio nutrizionale con la retina.
Con l'ausilio del calcolatore è possibile realizzare un modello frattale dell'albero vascolare retinico, con possibilità di ottenere successivi ingrandimenti matematici fino alle più piccole ramificazioni.
Un modello di questo tipo è molto suggestivo e realistico; è possibile modificare il decorso, l'inclinazione, il tipo di ramificazione, l'angolo di biforcazione ed il numero di successive divisioni. Con queste modifiche possiamo rendere il modello più o meno sovrapponibile ad una circolazione retinica normale o renderlo "patologico" in modo da poter quantizzare e misurare il grado di irregolarità.
E' possibile realizzare questi modelli frattali con le funzioni iterative di Barnsley. Con l'immissione di pochi valori numerici (parametri) si ottengono immagini frattali molto realistiche della struttura ramificata vasale. Modificando solo lievemente i suddetti parametri è possibile modellare l'aspetto del frattale e renderlo più o meno realistico.
Un risultato simile è possibile ottenerlo anche con immagini frattali informatiche realizzate tracciando graficamente segmenti ed applicando regole di trasformazione un certo numero di volte.
Lo sviluppo embrionale dei vasi provenienti dalla carotide interna verso la regione della coppa ottica avviene per gemmazione di alcuni semplici tubi endoteliali. Secondo alcuni Autori i vasi ed i capillari retinici si sono formati , verso il quarto mese di gestazione, da un processo di gemmazione dei vasi presenti. Proprio per questa caratteristica gemmazione nello sviluppo della circolazione retinica, l'aspetto finale è suggestivamente simile ad un frattale realizzato con aggregazione per diffusione. Questo si sviluppa per gemmazione di ramificazioni che sono determinate dall'aggregazione di punti che si muovono casualmente.
Queste descrizioni di frattali possono essere utili solo come strumento descrittivo e teorico, o come curiosità, ma trovano scarso impiego pratico.
Nella descrizione ed interpretazione frattale della circolazione retinica è necessario ipotizzare e realizzare uno studio che ci permetta di quantizzare e codificare alcuni parametri strutturali e morfologici facilmente ripetibili, che forniscano una misura della sua irregolarità.
La misura del grado di irregolarità di un modello frattale è data dalla DIMENSIONE FRATTALE ("D"), che viene calcolata con la seguente formula:
D = -Log N / Log 1/R
dove R è l'unita' di misura ridotta rispetto alla precedente osservazione (esempio: unità di misura ridotta a 1/3, R=3), N è il numero di unità R calcolate nella misurazione della figura frattale presa in considerazione (esempio: se R=3 cioè 1/3 di cm, l'immagine frattale è lunga 3 cm , tenendo conto anche delle irregolarità che possono essere misurate con la suddette unità, N=9).
E' possibile calcolare la dimensione frattale D(dv) del DECORSO VASALE RETINICO. Prendiamo in considerazione un tratto vasale, più o meno irregolare secondo la situazione patologica presente, della dimensione di un'unità di misura arbitraria; tale unità di misura viene ridotta ad un valore arbitrario (per esempio ad 1/5, R=5) della sua lunghezza, questo è il nostro regolo di misura per calcolare la lunghezza del vaso preso in considerazione, tenendo conto delle irregolarità che possono essere misurate. In tal modo avremo il valore della dimensione frattale D(dv) (con N=6 per esempio):
D(dv) = -Log 6 / Log 1/5= 1.113
Questo valore di D(dv) indica l'irregolarità del tratto vasale preso in considerazione, nel nostro esempio la dimensione frattale è lievemente superiore a 1 (un oggetto lineare ha dimensione 1), quindi un grado di irregolarità basso. Con i valori superiori di D(dv) (fino a 2, il piano ha dimensione 2) aumenta l'irregolarità. Un vaso molto tortuoso avrà D(dv)=1,828, mentre un vaso retinico rettilineizzato per trazione della limitante interna avrà D=1,012, molto vicino a 1.
In questo modo è possibile quantizzare il grado di irregolarità del decorso vasale.
Nella tabella 2.3 sono riportati i valori di D(dv) calcolati in alcuni pazienti senza patologia vascolare retinica, in coda alla stessa è stato calcolato il valore medio.
La dimensione frattale può essere calcolata per un solo tratto vasale, che a noi interessa, in tal caso possiamo chiamarla segmentaria D(dv)s, oppure globale di tutta la circolazione retinica D(dv)g. Può riguardare solo le arterie (Dimensione arteriosa: D(dv)a) o solo le vene (Dimensione venosa: D(dv)v):
D(dv) dimensione vasale frattale D(dv)s (dimensione segmentaria) D(dv)g (dimensione globale ) D(dv)a (dimensione arteriosa) D(dv)v (dimensione venosa)
Ovviamente esiste una evidente differenza tra Da e Dv dovuta alla diversità di decorso dei vasi arteriosi e venosi. Tale differenza può variare, aumentare o diminuire, in base alle patologie vascolari del fondo.
Per calcolare la dimensione globale di decorso è necessario eseguire una media delle varie dimensioni arteriose e venose rilevate in più segmenti. Nella tabella 2.4 sono riportati alcuni esempi dei valori di Da e Dv in alcune situazioni patologiche.
Un altro valore importante è la differenza tra Dv e Da, nel soggetto normale oscilla tra 0.005 e 0.050. Questo valore indica che l'irregolarità di decorso è lievemente maggiore nella circolazione venosa. Può aumentare per riduzione di Da o per incremento di Dv.
Per esempio nella tortuosità vasale da trazione della limitante interna (trazione sia dei vasi arteriosi che venosi) il valore di Dv-Da è molto ridotto, quasi uguale a 0, anche se i valori assoluti di Dv e Da sono aumentati per maggiore irregolarità vasale complessiva.
Nella notevole tortuosità venosa di un emangioma la differenza Dv- Da è molto aumentata perché Dv ha un valore vicino a 2, quindi è un frattale vicino ad una forma bidimensionale.
Studiando e confrontando con cura i vari valori parziali e specifici di D è possibile catalogare e monitorizzare con precisione il decorso dei vasi nelle varie patologie della circolazione retinica.
In tal modo è possibile misurare il grado di irregolarità con un parametro specifico e sensibile, senza limitarsi solo a dare un giudizio soggettivo, superficiale e non quantizzabile dei vasi retinici.
Ora esaminiamo complessivamente la distribuzione ramificata dei vasi retinici. La circolazione retinica complessiva può essere paragonata ad un modello frattale realizzato per diffusione la cui dimensione frattale ha valore di circa 1.71 (valori variabili tra 1.66 e 1.76) .Questo valore indica l'irregolarità, comprendendo

anche le biforcazioni e la diffusione su tutto il piano retinico (quasi come il piano a due dimensioni) della distribuzione dei vasi.
Il valore di D è maggiore rispetto al valore di D(dv) perché quest'ultimo indica solo l'irregolarità del decorso lineare (lievemente superiore ad una dimensione) del vaso e non l'irregolarità di distribuzione determinata dalle diramazioni nel piano.




13 - IL FLUSSO FLUORESCEINICO VENOSO
Dopo l'iniezione della fluoresceina per via venosa, durante l'angiografia retinica a fluorescenza, è possibile evidenziare nella circolazione retinica un particolare tipo di flusso del colorante.
La fluoresceina penetra nelle vene lungo le pareti formando un cilindro di colorante. Questa colonna di colorante è a forma di lamina addossata alla parete. Ogni corrente venosa che si getta in un tronco più grande rimane ben distinta, conservando la sua indipendenza (Fig.
2.23, 2.24). Questo aspetto viene conservato per più confluenze fino a mostrarsi con caratteristiche multilaminari nei tronchi più grandi, e successivamente non è più individuabile.
Questo aspetto multilaminare, risultante dalla confluenza di più colonne fluoresceiniche di capillari e di venule, non è sempre visibile per l'uniformità di contrasto delle lamine.
Esaminando queste numerose lamine a ingrandimenti sempre maggiori, eventualmente con accorgimenti che ne permettano l'individuazione, vengono rivelati dettagli sempre maggiori. Ogni lamina è formata da numerose altre lamine più piccole, provenienti dalla confluenza di vasi minori, queste ultime, ad ingrandimenti ulteriori, sono composte da altre lamine minori originate da vasi più piccoli.
Questa organizzazione laminare presenta una autosomiglianza a più scale, con caratteristiche aleatorie, e quindi di tipo frattale.
L'aspetto laminare della fluoresceina è simile ai dettagli infinitesimali rivelati dall'ingrandimento dell'attrattore di Hènon e agli allungamenti e ripiegamenti caratteristici del mescolamento dei fluidi.
Questo moto regolare laminare è caratteristico di un fluido che scorre tranquillamente senza l'intervento di forze esterne o anomalie delle pareti. Al contrario, quando un fluido è messo in agitazione da una irregolarità della parete o da anomalie vasali, questo tranquillo e ordinato comportamento diventa turbolento. Non è possibile più separare le lamine, queste si aggrovigliano nei modi più contorti. In questi sistemi si formano gorghi, vortici e spirali di ogni tipo. Si viene a creare una vera turbolenza, con un regime caotico.
Tutti i sistemi con comportamento turbolento son "dispersivi", cioè disperdono energia, per l'attrito del flusso idrodinamico. Una evidente conseguenza dell'attrito è che il moto tende ad arrestarsi a meno che non venga immessa energia.
Il rilevamento, con immagini digitalizzate ed elaborate al computer, del movimento, della qualità delle lamine e della eventuale comparsa di turbolenze può fornire informazioni molto utili sulla qualità della circolazione retinica e sull'origine delle anomalie.
L'elaborazione e lo studio di questi dati potrebbe consentire la progettazione di sofisticati sistemi di riconoscimento delle forme, che siano in grado di rilevare le minime variazioni della regolarità del flusso con la possibilità di una identificazione delle anomalie vasali.


14 - LE LESIONI RETINICHE
La distribuzione e la concentrazione delle lesioni retiniche (come emorragie, essudati, microaneurismi, ecc.), presenti in numerose patologie retiniche, sono spesso oggetto di studio, con tentativi di quantizzazione. Ciò molto spesso non è possibile per la natura aleatoria dei fattori che intervengono.
Servendosi del concetto di Polvere di Cantor è possibile calcolare la distribuzione delle suddette lesioni nella retina. Anche se il modello è una funzione e non impiega dati reali, esso ricorda la distribuzione delle emorragie, degli essudati, dei microaneurismi e di molte altre lesioni, che altrimenti risulterebbe indefinibile.
Una immagine di distribuzione simile, casuale e con caratteristiche frattali come la polvere di Cantor, è determinata dal movimento browniano per generare un "universo" disseminando un punto ad ogni sosta; " D " (dimensione frattale) rappresenta il grado di ammassamento medio dei punti.
I frattali basati sull'insieme di Cantor non descrivono soltanto il modo in cui tali lesioni si raggruppano e si distribuiscono sulla retina, ma anche come si manifestano nel tempo.
Questo metodo descrittivo comporta una gerarchizzazione degli ammassi a più livelli. E' possibile incontrare ammassi di lesioni che a loro volta sono formati da altri di natura simile ma di dimensioni minori. In base alla concentrazione ed alla distribuzione sarà possibile calcolare una dimensione frattale " D ". In tal modo si quantizzerà con un unico valore, tipico della lesione, la distribuzione spaziale.
Nelle figure 2 e 3 sono riportati alcuni esempi di lesioni del fondo che presentano le caratteristiche di distribuzione gerarchica, con omotetia a più scale, legata al caso. Per esempio la distribuzione di Drusen retiniche è organizzata in raggruppamenti grandi che a loro volta sono formati da altri più piccoli. Una organizzazione simile è presente anche nelle lesioni emorragiche delle occlusioni venose, anch'esse formate da raggruppamenti di altre più piccole .
Questo modello frattale è un tentativo di evitare l'impreciso ed indaginoso metodo di conteggio e di descrizione incompleta delle lesioni retiniche, in modo di poter monitorizzare con maggior precisione ed obiettività l'evoluzione della patologia.


15 - LE CELLULE NERVOSE RETINICHE
Le cellule nervose sottostanti alle cellule visive si trovano negli strati più interni della retina e sono connesse con le cellule recettrici visive. Esistono più tipi di cellule nervose retiniche (bipolari, multipolari, amacrine, orizzontali) con varie funzioni di conduzione e di interconnessione; dello stesso tipo si possono trovare numerose variazioni morfologiche.
Queste cellule nervose, come tutti i neuroni, presentano una caratteristica forma, anche se variabile tra i vari tipi, con prolungamenti di aspetto ramificato, detto dendrite. Questi dendriti si ramificano più volte dando luogo ad una caratteristica forma frattale autosimile a più scale.
Se si esaminano tali cellule a basso ingrandimento, si possono osservare ramificazioni asimmetriche connesse con i corpi cellulari.
A ingrandimento leggermente superiore si osservano ramificazioni più piccole a partire da quelle più grandi. Aumentando ulteriormente l'ingrandimento, si può scorgere un altro livello di dettaglio: ramificazioni di ramificazioni di ramificazioni.
Di fronte a due fotografie di dendriti a differenti livelli di ingrandimento (senza alcun riferimento di scale sull'immagine), può essere difficile riconoscere a quale ingrandimento corrisponda una determinata fotografia.
Nelle figure sono riportati alcuni modelli di cellule nervose retiniche realizzati con il computer.
Le cellule amacrine (particolare dell'Insieme di Mandelbroit) sono piriformi e grosse (A), i loro prolungamenti emanano dalla estremità inferiore della cellula ed hanno i caratteri di dendriti (B), non è dimostrabile il neurite.
Le cellule bipolari ( particolare dell'Insieme di Mandelbroit) hanno il corpo ovoidale (A), da ciascun polo parte un prolungamento, quello ascendente è considerato come un dendrite (B) e si risolve con un pennacchio (C), il prolungamento discendente (D), considerato un neurite, con la sua arborizzazione si mette in rapporto con le cellule multipolari.
Le cellule orizzontali (A) ( particolare dell'Insieme di Julia) hanno un neurite grosso e lungo con un'arborizzazione complicata ed estesa (B), il dendrite può essere corto (C).


16 - ORGANIZZAZIONE RETINICA PREGANGLIARE FUNZIONI DI CONTROLLO DELL'IMMAGINE.
Le vie retiniche di conduzione del messaggio visivo costituiscono una rete molto complessa. Le strutture cellulari (cellule orizzontali, cellule amacrine, e interneuroni) che compongono questi canali retinici presentano alcune funzioni altamente specializzate che permettono una selezione, una rielaborazione ed un miglioramento qualitativo dell'immagine trasmessa.
La principale di queste funzioni è quella di CONTROLLO RETROATTIVO. Con questo meccanismo le rete elaborativa pregangliare riesce a correggere gli "errori", che si producono a livello recettoriale, attraverso il caos deterministico.
Un sistema retroattivo è caratterizzato da una circolazione dell'informazione prodotta, che viene ripresentata all'ingresso e rielaborata per poi essere nuovamente ripresentata all'ingresso. Questa retroazione (iterazione) può avvenire un numero infinito di volte.
Un circuito retroattivo con un elemento non lineare presenterà un risultato finale modificato; l'immagine finale dipende dall'elemento non lineare. Questi sistemi non lineari presentano comportamenti di notevole complessità, cioè di tipo caotico.
Consideriamo ora un sistema contenente un meccanismo non lineare, i punti dell'immagine potranno essere accoppiati in due modi: Accoppiamento diffusivo o Accoppiamento sottrattivo. La diffusione dovuta ad una sfuocatura di due punti dell'immagine porta ad una sovrapposizione e perciò all'accoppiamento di punti vicini dell'immagine; le intensità si sommano, cioè ciascun punto riceve un "rinforzo" dai punti vicini, si ha così un accoppiamento diffusivo.
Secondo l'accoppiamento sottrattivo, le intensità dei punti vicini non vengono sommate ma sottratte, come avviene nelle cellule nervose della retina.
L'accoppiamento dell'immagine è importante per spiegare come nasca l'ordine in un sistema a retroazione.
Prendiamo un sistema retroattivo e facciamolo partire da una immagine arbitraria, dopo un centinaio di iterazioni l'immagine non si modifica più, il sistema dinamico non lineare ha raggiunto una immagine stabile, un punto fisso. Con questa immagine ottenuta si è raggiunto l'ordine con forme stabili. Con un accoppiamento diverso, ma con la stessa immagine emerge un punto fisso diverso. Anche l'immagine di partenza è determinante per l'immagine finale.
Dopo molte iterazioni, il punto fisso di un sistema dinamico non lineare rappresenta il punto di quiete o immagine stabile. Lo stesso punto fisso, immagine finale, a cui si arriva dalle diverse immagini di partenza, viene chiamato attrattore. L'insieme delle immagini di partenza che porta allo stesso punto fisso forma il bacino di attrazione dell'attrattore. Di conseguenza due immagini lievemente diverse, appartenenti allo stesso bacino di attrazione di uno stesso attrattore, dovrebbero evolvere verso lo stesso punto fisso, cioè la stessa immagine finale.
Una immagine lievemente alterata dovrebbe evolvere verso la stessa immagine finale di una originariamente perfetta. Se facciamo circolare un'immagine distorta nel sistema di retroazione non lineare, la distorsione scompare e si raggiunge lo stesso punto fisso dell'immagine originale non alterata.
Questi sistemi capaci di ripristinare perfettamente l'integrità di un'immagine, partendo da informazioni incomplete, si chiamano memorie associative. Quindi il circuito a retroazione presenta questa proprietà.
Anche nella retina si trovano elementi che costituiscono un sistema simile di collegamenti e che, attraverso elementi di accoppiamento non lineari sottrattivi, retroagiscono sui conduttori d'ingresso di altri dispositivi non lineari; le caratteristiche dei singoli elementi di accoppiamento determinano il punto fisso raggiunto.
Le cellule nervose retiniche che contengono le non linearità hanno conduttori d'ingresso, che sono i dendriti, mentre le uscite, che sono gli assoni, trasmettono i segnali alle sinapsi, che rappresentano gli elementi di accoppiamento con altre cellule nervose. In questo sistema sono possibili innumerevoli accoppiamenti.
In pratica il sistema a retroazione ha la possibilità di ricostruire in modo associativo un'immagine a partire da una incompleta. Con questo meccanismo possono essere ripristinate immagini di partenza sfuocate, disturbate o incomplete.
Se l'immagine di partenza è estremamente alterata, non appartiene più al bacino di attrazione del punto fisso dell'immagine da ripristinare, quindi le iterazioni portano ad un altro punto fisso: una immagine diversa.
E' possibile intuire che a livello delle interconnessioni pregangliari retiniche è presente un sistema molto complesso di retroazione non lineare, che permette già a questo livello una elaborazione e una depurazione dell'immagine, o di parte di essa.
L'immagine presente a livello recettoriale viene, con questo sistema, elaborata e migliorata nella rete delle interconnessioni pregangliari. Quindi ai fini del risultato funzionale può risultare più grave un danno alle interconnessioni , che riduce o sopprime questo meccanismo di memoria associativa, piuttosto che una lesione parziale dei recettori. L'immagine presente a livello recettoriale è solo la partenza del circuito retroattivo, le eventuali distorsioni o difetti possono essere ripristinati dal suddetto meccanismo.


17 - LA FOTOCHIMICA DELLA VISIONE
La rodopsina è il pigmento contenuto in maniera altamente organizzato nell'articolo esterno dei fotorecettori. Il processo fondamentale dell'assorbimento della luce da parte della rodopsina consiste nella trasformazione del retinale 11-cis in tutto-trans, prodotto molto instabile, attraverso varie tappe. Una serie di reazioni chimiche porta ad una reisomerizzazione , che rigenera la rodopsina in forma 11-cis. La trasformazione da 11-cis a tutto-trans determina lo sbiancamento della rodopsina con una iperpolarizzazione della cellula ed una modificazione della resistenza elettrica della membrana.
Questa continua reazione chimica bidirezionale è ovviamente influenzata, o meglio determinata, dalla quantità e dalla qualità della luce che arriva alla retina. Per l'estrema variabilità dello stimolo luminoso, in ambiente di vita normale, la reazione chimica suddetta presenta caratteristiche aperiodiche, o meglio caotiche, influenzata anche da fattori endogeni elettrochimici.
In questa reazione le concentrazioni dei componenti non raggiungono valori costanti e neppure oscillano periodicamente, ma piuttosto aumentano e diminuiscono in modo apparentemente casuale e imprevedibile. Si viene a creare il "CAOS CHIMICO", come in molte altre reazioni chimiche strettamente dipendenti da fattori esterni variabili in modo aleatorio.
E' possibile rappresentare anche questa reazione, come tutti i sistemi dinamici con carattere caotico, con un "attrattore strano" nello spazio delle fasi.
Ad una reazione chimica di questo tipo corrisponderà un ben caratteristico potenziale elettrico, che per un singolo stimolo luminoso sarà deterministico e ben codificabile, perché dipendente da una unidirezionalità del sistema dinamico. Le caratteristiche elettriche "in ambiente" saranno del tutto aleatorie per comparsa delle caratteristiche caotiche della reazione.
Sarebbe certamente molto interessante studiare le caratteristiche di un tracciato elettrico di questo tipo nello spazio delle fasi.
In tal modo i risultati non sarebbero influenzati dalle condizioni di esecuzione e di adattamento, ma dipenderebbero solo in condizioni fisiologiche, dalle caratteristiche caotiche esogene ed endogene.
Secondo alcuni autori il caos chimico non rappresenta niente di più che fluttuazioni incontrollate che spingono a caso il sistema.
Altri autori propongono che il caos chimico sia un fenomeno genuino inerente alla dinamica di alcuni sistemi chimici oscillanti.

18 - LA COROIDE
La coroide è formata sostanzialmente da vasi, arteriosi e venosi, distribuiti in tre strati in base alle loro dimensioni. I primi due strati vascolari sono nella lamina vascolosa, in quello più superficiale decorrono i grossi vasi, mentre in quello più profondo i vasi più piccoli. Il terzo strato vascolare è la coriocapillare, formata da vasi capillari riuniti a rete.
Questa distribuzione in più strati, in ciascuno si trovano vasi simili ma più piccoli dello strato precedente, presenta caratteristiche di autosomiglianza frattale. I vasi arteriosi della coroide presentano ramificazioni di tipo frattale; i vasi principali, nello strato più superficiale, si ramificano in una serie di vasi più piccoli, che decorrono nello strato più profondo, questi si ramificano, a loro volta, in vasi di calibro ancora minore e poi in capillari.
La coriocapillare, a sua volta, ha una sua struttura autosimile per l'organizzazione a lobuli; non è un sistema liberamente anastomizzato, come si riteneva in passato, ma è diviso in lobuli indipendenti, in maniera simile a quella del fegato.
Queste strutture elementari, i lobuli, sono delimitate dai capillari più grossi orientati circonferenzialmente; all'interno dei lobuli si trovano i capillari più piccoli che delimitano aree di tessuto contenenti capillari ancora più piccoli.
I capillari scaricano il sangue nelle vene minori, che si riuniscono a "vortice" nelle vene più grandi, fino alle vene vorticose.
In tal modo la circolazione venosa viene ad assumere l'aspetto di un insieme di vortici di varie dimensioni.
Questo struttura vorticosa ha radici matematiche, è simile alle numerose immagini frattali, anch'esse a vortice, di alcuni particolari dell'Insieme di Mandelbroit, o ad alcune strutture realizzabili al computer con orbite sovrapposte generate da equazioni matematiche complesse contenenti funzioni trigonometriche.


19 - IL NERVO OTTICO
Il nervo ottico è formato di fibre nervose midollate, senza nevrilemma, che si raggruppano in fascetti detti "fascetti primari".
Questi a loro volta si riuniscono a formare i fasci, che sarebbero circa un migliaio.
Questi livelli di raggruppamento di fibre nervose sono determinati dalla nevroglia. Uno straterello di nevroglia è alla superficie dell'asse connettivale che accoglie i vasi centrali della retina. A ciascun fascio di fibre la nevroglia forma un manicotto, da questo emanano sepimenti nevroglici che penetrano nel fascio e lo dividono in fascetti più piccoli (fascetti primari).
Questa organizzazione strutturale in fasci sempre più piccoli è di tipo frattale. Anche se non esiste un'autosomiglianza completa tra i vari livelli di fasci di fibre, è possibile certamente notare una somiglianza organizzativa e dei setti di nevroglia.
L'autosomiglianza a un certo livello si ferma, però i dettagli dei fascetti primari sono simili, seppur non necessariamnente identici, a quelli della struttura vista a ingrandimento minore, cioè ai fasci.

20 - I MOVIMENTI OCULARI DI FISSAZIONE
Nella fissazione di un oggetto su uno sfondo uniforme, l'occhio presenta una serie di micromovimenti, necessari per rendere possibile la continuità della visione. Questi movimenti, i soli che abbiano luogo durante la pausa di fissazione, sono sufficienti a mantenere la visione anche per tempi prolungati.
Ad un primo esame superficiale della registrazione di questi movimenti durante la fissazione, sembrano oscillazioni apparentemente casuali. Esaminando attentamente le componenti a varie scale temporali, possiamo notare alcune caratteristiche importanti. Ad una prima scala di minuti riscontriamo i "MOVIMENTI DI DERIVA" (Drift), movimenti lenti e a bassa frequenza; ad un successivo ingrandimento, scala di secondi, notiamo la presenza di piccoli movimenti a scosse, i "MICROSACCADI.
Esaminando ulteriormente il tracciato, ad una scala minore, è possibile osservare un tremore ad alta frequenza (70-90 oscillazioni al secondo).
Questi movimenti sono autosimili a scale temporali diverse; le leggi che regolano questa autosomiglianza non sono lineari, ma aleatorie.
Queste osservazioni suggeriscono che i sistemi di controllo di questi movimenti sono di tipo caotico, in una situazione fisiologica.
In una disfunzione a carico dei sistemi preposti alla stabilizzazione della fissazione si ha la comparsa di nistagmo patologico, movimenti ritmici con caratteristiche di sistema dinamico ciclico.
Analizziamo la rappresentazione dello spazio delle fasi per i movimenti oculari di fissazione, in cui gli assi sono rispettivamente la posizione e la velocità. Il comportamento della dinamica dei movimenti di fissazione fisiologici è del tipo ATTRATTORE STRANO; mentre in caso di nistagmo, che può essere paragonato ad un sistema periodico, l'attrattore è a CICLO LIMITE. In condizioni estreme di notevole riduzione dei movimenti, per incapacità di fissazione o per anomalie della motilità estrinseca, l'attrattore tende a diventare a PUNTO FISSO.
L'attrattore strano, fisiologico, è espressione di un sistema dinamico caotico, su cui agiscono numerose componenti di tipo neurogeno, psicofisico e meccanico. Un sistema di movimenti di fissazione necessita proprio di condizioni caotiche per risultare efficace e rapido, rispondendo alle necessità di mantenimento della visione, senza permettere la degradazione dell'immagine per una eccessiva persistenza nella stessa area retinica.
L'andamento periodico del nistagmo patologico non permette una distribuzione caotica dello stimolo luminoso, ma, con i suoi movimenti ritmici, stabilizza l'immagine sempre sulle stesse aree retiniche; in tal modo l'immagine degrada e determina una riduzione della capacità visiva. Quindi la riduzione funzionale nel nistagmo non sarebbe dovuta alla incapacità di catturare l'immagine, per il movimento rapido dell'occhio, piuttosto al fatto che non vengono stimolate aree retiniche con distribuzione di tipo aleatoria, ma di tipo deterministico.
In pratica anche nella dinamica della fissazione la fisiologia si associa alle leggi del caos, mentre la patologia mostra una periodicità che impedisce al sistema di rispondere alle esigenze funzionali della biochimica retinica e a quelle ottiche.


21 - I FOSFENI
Le immagini luminose che talvolta vediamo apparire dietro le palpebre chiuse o nell'oscurità completa sono dette fosfeni (dal greco phos=luce e phanein=apparire) e derivano dall'autostimolazione delle fibre ottiche. Possono essere provocate comprimendo i bulbi oculari, dall'assunzione di alcune droghe o da alcune situazioni patologiche sistemiche o del sistema nervoso centrale.
La forma ed i colori dei fosfeni sono molteplici, dipendono dalle situazioni che li determinano e da componenti individuali. Le immagini più caratteristiche e frequenti sono: a "fortificazione", a "spirale", a cerchi concentrici, a dischi colorati, a "onde", e con tante altre svariate forme.
Praticamente tutte queste forme di fosfeni sono di aspetto frattale, con caratteristiche autosimili a più scale, e facilmente riproducibili con l'elaboratore, utilizzando algoritmi matematici produttori di frattali.
Questi fosfeni sono frattali perché sono generati nelle vie ottiche da meccanismi a catena automoltiplicanti, simili ai procedimenti iterativi generatori di frattali.
I fosfeni spontanei rappresentano per le vie ottiche, come avviene in tutte le linee di trasmissione di dati, quelle inevitabili e numerose fluttuazioni spontanee che possiamo chiamare "rumori".
La distribuzione nel tempo del "rumore" ha caratteristiche molto curiose e molto importanti dal punto di vista concettuale e pratico.
Analizzando nel tempo la comparsa di questi "errori", nella conduzione dello stimolo luminoso, in modo via via più fine, è possibile notare che in alcune ore non c'è alcun "errore". In altri momenti compaiono "raffiche di errori", che nel loro ambito presentano diversi momenti di quiete di durata minore. Analogalmente tra questi momenti di quiete compaiono nuove "raffiche di errori" più brevi delle precedenti. La distribuzione di ciascun ordine di raffiche è identica, dal punto di vista statistico, rispetto all'ordine immediatamente superiore. Si scopre così un nuovo esempio di omotetia interna, con una dimensione frattale.
Un modello valido per le raffiche di errori è una variante aleatoria dell'insieme di Cantor (vedi parte I), denominata "Polvere di Levy".
Questo comportamento aleatorio della comparsa dei fosfeni dipende dalle numerose componenti esogene ed endogene con caratteri caotici.
Come in tutti i sistemi caotici, una causa piccolissima che sfugga alla nostra attenzione determina un effetto considerevole con possibile scatenamento di una crisi con "raffiche di fosfeni". Quindi una piccola differenza può portare a una notevole variazione di comportamento, che dal punto di vista matematico si chiama "biforcazione".
A questo punto ci si chiede se il passaggio dal comportamento normale a quello di crisi di fosfeni non sia dovuto a una biforcazione.
Se così fosse, le terapi



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